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Studio Legale Giannini

Avv. Federica Giannini
16 mag 2025
Tutto quello che c’è da sapere su cosa cambia se vince il Sì o il No: una guida utile per orientarsi e votare consapevolmente
L’8 e il 9 giugno 2025 saremo chiamati alle urne per esprimerci su cinque referendum abrogativi riguardanti temi centrali per il mondo del lavoro e il riconoscimento della cittadinanza italiana. In un clima di crescente disillusione nei confronti della politica, questi quesiti toccano diritti e condizioni concrete che incidono sulla vita quotidiana di lavoratori, imprese e cittadini stranieri residenti in Italia.
Vediamo allora come funziona il referendum abrogativo, quali sono i quesiti proposti, cosa cambierebbe in caso di vittoria del Sì, e quali sono le principali posizioni a favore e contro l’abrogazione.
Come funziona il referendum abrogativo?
Il referendum abrogativo è uno strumento previsto dall’art. 75 della Costituzione italiana e consente ai cittadini di cancellare, in tutto o in parte, una legge o un atto avente forza di legge.
Si vota Sì se si vuole abrogare (eliminare) la norma o parte di essa, e si vota No se si vuole che rimanga in vigore.
Ma attenzione: affinché l’esito sia valido, deve votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. Se il quorum non viene raggiunto, la consultazione è nulla e la legge non cambia.
I 5 quesiti referendari
1. Contratto a tutele crescenti – Licenziamenti illegittimi
Cosa dice la norma attuale: introdotto con il Jobs Act (D.lgs. 23/2015), il contratto a tutele crescenti si applica ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. In caso di licenziamento ritenuto illegittimo (ad esempio, senza giusta causa o giustificato motivo), il lavoratore non ha più diritto al reintegro nel posto di lavoro, salvo rare eccezioni (come i licenziamenti discriminatori). In genere, si prevede solo un’indennità economica calcolata in base all’anzianità di servizio.
Cosa succede se vince il Sì: viene abrogato l'articolo che limita il reintegro per i nuovi assunti. Questo significa che tutti i lavoratori, indipendentemente dalla data di assunzione, tornerebbero ad avere una tutela più forte contro i licenziamenti illegittimi, con la possibilità concreta di essere riassunti se il licenziamento è dichiarato nullo o ingiustificato.
Quali sarebbero gli effetti positivi della vittoria del Sì:
Maggiore equità tra lavoratori: oggi esiste una differenza di trattamento tra chi è stato assunto prima del Jobs Act e chi dopo. L’abrogazione sanerebbe questa disparità.
Tutela più effettiva contro gli abusi: il reintegro è una misura dissuasiva contro i licenziamenti arbitrari. Sapere che il lavoratore può tornare al suo posto incentiva le imprese a motivare seriamente ogni decisione espulsiva.
Rafforzamento dei diritti individuali: la perdita del posto di lavoro ha un impatto molto forte sulla vita personale e familiare. Avere la possibilità di essere reintegrati è una garanzia concreta di giustizia.
Riduzione della precarietà strutturale: il sistema a tutele crescenti ha introdotto una maggiore “libertà di licenziare” senza che ciò si traducesse in un aumento stabile dell’occupazione. Tornare a un impianto più protettivo potrebbe riequilibrare il rapporto tra datore e lavoratore, evitando abusi.
Valorizzazione del lavoro come diritto costituzionale (art. 4 e art. 41 Cost.): il Sì può essere letto come una riaffermazione della centralità del lavoro e della sua dignità, al di sopra della mera logica di mercato.
2. Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità
Cosa dice la norma attuale: nei casi di licenziamento illegittimo, i lavoratori delle piccole imprese (cioè con meno di 15 dipendenti) hanno tutele ridotte rispetto a chi lavora in aziende più grandi. In concreto, non hanno diritto al reintegro, neppure in caso di licenziamento ingiustificato, e l’indennità economica loro spettante è più bassarispetto a quella prevista per i lavoratori delle grandi imprese.
Cosa succede se vince il Sì: verrebbero abrogate le norme che prevedono un trattamento “più debole” per i dipendenti delle piccole imprese. In altre parole, tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell’azienda, godrebbero delle stesse tutele in caso di licenziamento illegittimo.
Gli aspetti positivi della vittoria del Sì:
Parità di diritti tra lavoratori: attualmente, due lavoratori con la stessa mansione e lo stesso contratto possono essere trattati in modo radicalmente diverso solo perché uno lavora in un’azienda con 16 dipendenti e l’altro in una con 14. Il Sì eliminerebbe questa disuguaglianza, uniformando le garanzie.
Contrasto alla discriminazione: le aziende con meno di 15 dipendenti, sapendo di poter licenziare con più facilità e a minor costo, potrebbero essere incentivate a usare il licenziamento anche per ragioni illegittime o discriminatorie. Estendere le stesse tutele ai lavoratori di piccole imprese rappresenterebbe un deterrente contro gli abusi.
Tutela reale per chi è più vulnerabile: le piccole imprese impiegano molti giovani, donne e lavoratori con contratti più fragili. Offrire loro protezione piena in caso di licenziamento ingiusto significa difendere i più esposti.
Stimolo a una gestione più responsabile delle risorse umane: sapere che un licenziamento potrebbe comportare conseguenze serie, sia nelle piccole che nelle grandi aziende, spingerebbe i datori di lavoro a motivare e documentare meglio le proprie decisioni.
Messaggio di coesione sociale: superare la distinzione tra “lavoratori di serie A e di serie B” è anche un segnale forte di unità nel mondo del lavoro, coerente con i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost.) e dignità del lavoratore (art. 36 Cost.).
Effetto indiretto sulle condizioni di lavoro: il rafforzamento delle tutele può anche migliorare la qualità dell’ambiente lavorativo, riducendo la paura del licenziamento e favorendo un clima di maggior rispetto reciproco.
3.Contratti a termine – Abrogazione parziale delle norme su durata massima e rinnovi
Cosa dice la norma attuale: oggi un contratto di lavoro a tempo determinato può avere una durata massima di 12 mesi, estendibile fino a 24 mesi solo in presenza di “condizioni giustificative” (esigenze temporanee, sostituzioni, picchi di lavoro). Inoltre, sono previste limitazioni ai rinnovi e alle proroghe, proprio per evitare un uso eccessivo della precarietà.
Cosa succede se vince il Sì: verrebbero abrogate le norme più permissive introdotte nel 2023 che hanno allentato i vincoli sui contratti a termine, rendendo più facili le proroghe e i rinnovi. In sostanza, si tornerebbe a un regime più rigido e protettivo, che limita la possibilità di prolungare il lavoro a termine senza giustificazioni concrete.
Gli aspetti positivi della vittoria del Sì:
Contrasto alla precarizzazione: le norme oggi in vigore rendono più semplice per i datori di lavoro prorogare i contratti a termine senza reali necessità. Il Sì limiterebbe questa prassi, incentivando l’assunzione a tempo indeterminato.
Garanzie per i giovani: i contratti a termine sono molto diffusi tra i giovani e le donne. Un uso eccessivo può compromettere la stabilità economica e progettuale. Tornare a limiti più stringenti può favorire percorsi lavorativi più solidi e duraturi.
Più equilibrio nel mercato del lavoro: il lavoro a termine dovrebbe essere eccezionale, non la regola. Il Sì punta a riequilibrare il sistema, evitando che il contratto precario diventi una “trappola permanente”.
Diritto alla programmazione di vita: chi lavora con scadenze brevi non può programmare mutui, famiglia, trasferimenti. Un mercato del lavoro meno precario favorisce la libertà personale e la crescita economica.
Valorizzazione del lavoro stabile: i lavoratori assunti a tempo indeterminato tendono ad avere maggiore formazione, esperienza e senso di appartenenza. Un ritorno a regole più stringenti può contribuire alla qualità complessiva del lavoro.
4. Responsabilità solidale negli appalti – Infortuni sul lavoro
Cosa dice la norma attuale: la normativa stabilisce che il committente, ossia chi affida un lavoro in appalto, è responsabile insieme all’appaltatore e ai subappaltatori per i danni subiti dai lavoratori, in particolare per quelli non coperti dagli enti assicurativi come INAIL o IPSEMA. Tuttavia, la legge esclude questa responsabilità condivisa quando l’infortunio è causato da rischi specifici che appartengono esclusivamente all’attività dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice. Questo significa che, in questi casi, il committente principale non è obbligato a rispondere economicamente per gli infortuni, limitando così il campo della sua responsabilità.
I sostenitori del referendum ritengono che questa esclusione riduca la tutela per i lavoratori, perché toglie una forma di garanzia economica importante in caso di incidenti legati al lavoro svolto da imprese terze.
Cosa succede se vince il Sì: viene abrogata questa norma. Si torna al principio della responsabilità solidale, in base al quale il committente o l’appaltatore risponde insieme al subappaltatore per i danni subiti dal lavoratore. Il lavoratore potrà quindi agire anche contro il soggetto economicamente più forte.
Gli aspetti positivi della vittoria del Sì:
Migliore tutela delle vittime di infortuni: spesso le imprese subappaltatrici sono piccole e senza risorse. Il Sì consente al lavoratore di rivalersi su soggetti più solidi (committente o appaltatore), aumentando le possibilità di ottenere un risarcimento effettivo.
Maggior attenzione alla sicurezza: sapere di essere responsabili in solido spinge i committenti a verificare meglio la sicurezza dei cantieri e la serietà dei subappalti. Questo può ridurre concretamente gli infortuni sul lavoro.
Prevenzione degli appalti al ribasso: la responsabilità condivisa scoraggia il ricorso a ditte improvvisate o sottopagate. Un mercato degli appalti più selettivo premia la qualità e la legalità.
Rafforzamento della cultura della sicurezza: il lavoro non può costare la vita. Il Sì manda un messaggio forte: chi trae profitto dal lavoro deve anche garantire la sicurezza di chi lo svolge.
Coerenza con i principi costituzionali: la salute e la sicurezza sul lavoro sono diritti inviolabili (art. 32 Cost.). Riattribuire responsabilità condivise tutela un interesse collettivo e non solo individuale.
5. Cittadinanza – Riduzione da 10 a 5 anni del requisito di residenza
Cosa dice la norma attuale: per uno straniero extracomunitario maggiorenne, il tempo minimo di residenza legale in Italia richiesto per fare domanda di cittadinanza è di 10 anni.
Cosa succede se vince il Sì: si abroga il requisito dei 10 anni e si torna a 5 anni di residenza legale, come previsto in una proposta di legge mai entrata in vigore. Si tratta di una norma più inclusiva, in linea con altri Paesi europei.
Gli aspetti positivi della vittoria del Sì:
Maggiore inclusione sociale: accorciare i tempi di accesso alla cittadinanza favorisce l’integrazione piena di chi vive, lavora e contribuisce alla società italiana.
Riconoscimento di una realtà già esistente: molti stranieri vivono in Italia da anni, pagano le tasse, crescono figli nelle scuole italiane. Il Sì è un atto di riconoscimento civile e umano.
Armonizzazione con l’Europa: molti Paesi UE prevedono tempi di attesa inferiori ai 10 anni. Ridurre il requisito avvicina l’Italia agli standard europei di cittadinanza.
Stimolo alla partecipazione democratica: la cittadinanza consente di votare, candidarsi, partecipare pienamente alla vita pubblica. Questo rafforza la democrazia.
Giustizia per chi si sente italiano: accade spesso che persone perfettamente integrate, che parlano l’italiano e condividono la nostra cultura, siano ancora considerate “straniere”. Il Sì riduce questo paradosso, aprendo la strada a un Paese più coeso.
‼️È importante precisare che questa modifica non comporta un accesso automatico alla cittadinanza: anche con il nuovo termine ridotto, la domanda resta soggetta a un’istruttoria rigorosa. I richiedenti devono dimostrare di avere un reddito sufficiente e stabile, l’assenza di precedenti penali, la conoscenza della lingua italiana (livello B1), e di essere regolarmente residenti e integrati nel territorio nazionale. La concessione resta, inoltre, un atto discrezionale del Ministero dell’Interno.
In sostanza, il Sì non apre scorciatoie né automatismi, ma rimuove un ostacolo temporale che può essere percepito come eccessivo, mantenendo tutti gli altri criteri di selezione e valutazione attualmente in vigore.
Come e quando si vota
Il referendum si svolgerà l’8 e il 9 giugno 2025. Le urne saranno aperte dalle 7:00 alle 23:00 di lunedì 8 giugno e dalle 7:00 alle 15:00 di martedì 9 giugno. Per esprimere il proprio voto è necessario presentarsi al seggio con un documento di identità valido e la tessera elettorale.
Per quanto riguarda i cittadini italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), la procedura di voto è semplificata: essi ricevono direttamente a casa il plico elettorale e possono votare comodamente per corrispondenza, seguendo le istruzioni contenute nel materiale inviato. Nel caso in cui non dovessero ricevere il plico, è possibile richiederne una copia rivolgendosi al consolato italiano competente per la propria area di residenza.
Inoltre, gli italiani che si trovano temporaneamente all’estero per motivi di lavoro, studio o cure mediche possono anch’essi votare per corrispondenza. Tuttavia, devono risiedere all’estero per un periodo minimo di tre mesi che includa le date del referendum. Per esercitare questo diritto, è necessario inviare al proprio Comune di residenza in Italia una dichiarazione in cui si comunica il domicilio temporaneo estero e il consolato di riferimento.
‼️Il referendum è uno strumento potente ma fragile: se il quorum non viene raggiunto, l’esito sarà nullo, e la voce dei cittadini non avrà effetti concreti. Ecco perché, al di là del contenuto dei singoli quesiti, votare è un atto di responsabilità civica.
In un momento in cui sembra che tutto ci passi sopra la testa — dalle riforme alle decisioni economiche — questi quesiti riguardano noi, il nostro lavoro, la sicurezza sul posto di lavoro, il nostro senso di giustizia e di appartenenza. Anche se non hai ancora deciso come votare, anche se pensi che le cose non cambino mai… ricordati che il cambiamento comincia col dire la propria.
L’8 e il 9 giugno non restare a guardare. Esprimi la tua voce. Vota.
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